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L'analisi
L’imbroglio e la salvezza Tanto per essere molto chiari sulla origine di questa crisi dei mercati finanziari che occorre evitare di trasformare in recessione globale e i suoi rimedi di Marco Vitale È una speculazione intellettuale, detto in parole più piane, un imbroglio intellettuale continuare a sostenere che il tremendo terremoto che stiamo vivendo è una specie di prezzo che dobbiamo pagare all’innovazione, alla “creative distruction” del capitalismo, al mercato. Chi ha vissuto dall’interno i decenni d’oro del capitalismo americano (retto da principi, regole, moralità, integrità professionale e pur altamente innovativo) sa che questa presunta relazione “necessaria” tra dinamica del capitalismo e crollo del sistema finanziario è un imbroglio, prima ancora di essere un errore. È stato detto; ma così, nel frattempo, è nato Google! Se per far nascere Google fosse necessario far fallire e irizzare mezzo sistema bancario mondiale, questa sarebbe la condanna vera e definitiva del capitalismo. Ma ciò non è necessario. I “Google” possono nascere anzi meglio con un sistema bancario sano e solido. Le ragioni di questo fallimento vanno dunque ricercate in altre direzioni. Ma chi ci salverà? Ed il timore di vedere ritornare il ’29 di chi lo ricorda come incubo della sua infanzia è fondato? Chi ha risposto, in anticipo, con maggiore profondità, a queste domande è l’economista americano Hyman Minsky (classe 1919). L’instabilità finanziaria è insita nella dinamica capitalista, scriveva Minsky. Ma dobbiamo distinguere tra instabilità finanziaria e disastro finanziario. È la cattiva politica che trasforma una instabilità finanziaria in un disastro finanziario. E il disastro finanziario non può non incidere sull’economia e sull’occupazione perché finanza ed economia produttiva sono due facce della stessa medaglia. Perciò “It need not happen… The Great Depression was not “necessary” but it was inevitable in the ideological and institutional framework of this period”. La differenza tra l’economia del ’29 e quella attuale sono enormi; basti pensare che il totale degli acquisti del Governo Americano (beni e servizi) era, nel 1929, pari solo all’1,2 percento del PIL. Gli strumenti di intervento erano dunque minimi rispetto a quelli di cui disponiamo oggi. Sono strumenti fondamentali non per negare le instabilità finanziarie (parte integrante e inevitabile di un’economia di mercato) e la sua funzione utile per l’innovazione e per la dinamica di mercato ma per governarla. Minsky ricordava che tutte le minori crisi finanziarie intervenute dal 1960 in poi avevano visto, in modi diversi, l’intervento della “Federal Reserve” come “lender of last resort”, e ciò era stato prezioso per evitare la violenta svalutazione delle attività buttate sul mercato dalla necessità di fare cassa, perché questo è il passaggio oltre il quale c’è la depressione produttiva ed economica. Perciò il fondo proposto dal governo americano era corretto ed ortodosso (anche se con molti aspetti criticabili e insufficienti), ma il popolo americano ha obbligato il Congresso a respingerlo non per ragioni economiche ma morali, anche a costo di pagare un prezzo pur di non salvare questa orrenda classe di banchieri “anticapitalisti”, che il popolo americano vuole vedere in prigione. Se a questo aggiungiamo lo sviluppo molto maggiore assunto, sia come spessore che come copertura geografica, dalle economie produttive; l’esistenza di altre poderosi centri di accumulazione finanziaria capaci di intervenire nel sistema per approfittare delle crisi e per assumere un ruolo internazionale importante; la rapidità con cui i governi europei sono intervenuti nei punti più acuti della crisi (mostrando una capacità di reazione molto maggiore di quella degli USA), possiamo ripetere, con una certa tranquillità: il ’29 non c’entra. Stiamo calmi e responsabili. Chi ci salverà? Noi stessi ci salveremo e il capitalismo, se riusciremo a restaurarlo, perché il capitalismo è serio e morale o non è.
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Num 85 Novembre 2008 | politicadomani.it
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